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I frantoi ipogei del Salento, alla scoperta della Puglia sotterranea

La produzione di olio di oliva costituisce una delle più importanti risorse economiche della Puglia, e in modo particolare della sua zona più meridionale che ormai abbiamo imparato a conoscere come Salento.

La cura degli olivi, la raccolta dei verdi frutti e la loro spremitura sono da sempre parte integrante del patrimonio agricolo, ancor prima che culturale, delle terre che ruotano intorno a Lecce e alle sue bellezze barocche.

Fu l’agronomo Cosimo Moschettini, a cavallo tra XVIII e XIX secolo, a codificare su carta l’utilizzo del nome trappeto che, nella tradizione salentina, descrive il frantoio ipogeo, ovvero il complesso sistema di macinazione delle olive dal quale si ricava questo pregiatissimo frutto della terra.

L’impiego di cavità naturali, opportunamente rivestite in pietra e riadattate per un uso ‘industriale’ ha origini molto antiche, da ricercare in epoca bizantina e che si è tramandata fino ad oggi. Attualmente i frantoi ipogei hanno perso la loro funzione industriale, vista la loro ormai ridotta capacità produttiva, ma sono luoghi storici che raccontano le vicende del Salento in modi originali e profondamente emozionanti.

I trappeti, o frantoi ipogei che dir si voglia, sono una presenza estremamente radicata in questo angolo di Puglia. Oggi, in tutta la regione se ne conservano poco meno di duecento, di cui la maggioranza è custodita nella provincia di Lecce.

A cosa si deve, in ogni caso, la volontà degli agricoltori di spostare i frantoi, e dunque la produzione di olio d’oliva, sottoterra? Si tenga conto delle temperature del Salento, che possono, soprattutto nei mesi estivi, essere inadatte al lavoro all’esterno, e inadatte anche alla conservazione di un prodotto delicato come l’olio.

È per questo motivo che, insieme alla raccolta notturna delle olive (tradizione che alcuni produttori conservano e portano avanti al giorno d’oggi), la spremitura e l’imbottigliamento veniva spostato al di sotto del livello terreno, permettendo così all’olio di arricchirsi da un punto di vista organolettico e preservarsi dalle asperità di un clima che, sebbene sia ottimo per la crescita degli olivi, è meno adatto alla preservazione del loro frutto diretto.

Tra i comuni del Salento a maggiore presenza di frantoi ipogei, tale quasi da darle una identità definita, troviamo la bella località di Presicce, che fa parte dei noveri dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio e de I borghi più belli d’Italia.

La “città degli ipogei”, così è comunemente chiamata, ha per secoli prosperato proprio grazie alla produzione dell’olio d’oliva in torchi conservati proprio nei piccoli ambienti sotterranei visibili ancora oggi.

Nonostante l’incuria nella quale hanno versato per quasi due secoli, oggigiorno diversi frantoi ipogei di Presicce sono stati recuperati e portati all’originale splendore, consentendone così la trasformazione in pregiate mete per un turismo di cultura, oltre che enogastronomico.

Oltre a quelli di Presicce, è possibile visitare i frantoi ipogei anche a Gallipoli (nelle fondamenta di Palazzo Granafei), Morciano di Leuca e Sternatia (si può visitare il solo frantoio di Porta Filia), nonché a Noha (Galatina) e Vernole.

La produzione dell’olio nei frantoi ipogei ha ispirato anche la cultura popolare del Salento, sia per quanto riguarda il mondo dei lavoratori e sia nella musica. È infatti accertato che molta della manodopera nei frantoi fosse in realtà composta da marinai, ed è per questo motivo che la squadra che raccoglieva e spremeva le ulive era detta “ciurma”, e il caposquadra, ovvero chi fisicamente dirigeva i lavori, era detto “nachiru”, nocchiere, proprio come chi guida la nave in tempesta.

La pizzica, ovvero i balli estremamente vigorosi del Salento, così come le canzoni popolari (quasi degli stornelli), sono ispirate proprio dai lavori delle ciurme e dei nachiri.